La donazione indiretta tra sostanza (vincolata) e forma (libera)

    Fonte: Cass. Civ. sez. I, 2 luglio 2024, n. 18098
    20 settembre 2024

    La Cassazione si è pronunciata su un’articolata vicenda di trasferimenti di denaro effettuati nel contesto di operazioni tra loro collegate. L'ordinanza in commento offre lo spunto per analizzare quale possa essere la concreta natura (gratuita o onerosa) di una transazione finanziaria, poiché dalla precisa qualificazione della stessa derivano differenti effetti sulla stabilità del rapporto giuridico e sull’idoneo formalismo imposto dalla legge.

    Massima

    La donazione indiretta si identifica con ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da un fine di liberalità e abbia l'effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario, e nel quale l'intenzione di donare emerge solo in via indiretta, dal rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, nei limiti in cui siano tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio; per la validità delle donazioni indirette, non è però richiesta la forma dell'atto pubblico, essendo sufficiente l'osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità.

    In senso difforme

    Trib. Genova, 2 agosto 2006

    Il caso

    Alla base della vicenda vi è una scrittura privata di “composita” conformazione dato che, accanto ad una cessione (da Tizio a Caio) di partecipazioni sociali con pagamento differito, si abbinava l'ulteriore impegno congiunto di Caio e della Alfa srl (controllante della società ceduta) di estinguere tre mutui garantiti da ipoteca su altrettanti immobili di proprietà di Tizio. A seguito del fallimento della Alfa srl, Tizio si insinuava al passivo per un importo pari al debito residuo dei finanziamenti non estinti; risultandone escluso, promuoveva opposizione ex art. 98 l.f. verso il decreto che aveva reso esecutivo lo stato passivo (senza includerlo), ma il Tribunale di Verbania la respingeva. Tale diniego era motivato dal fatto che accanto all'obbligazione dell'acquirente di pagare il prezzo per la cessione delle partecipazioni, senza dubbio di natura onerosa, quella assunta dalla società – in quanto eccedente il prezzo pattuito – dovesse qualificarsi come a titolo liberale e, dato che non era munita della forma pubblica né era di modico valore, dichiarata nulla.

    A questo punto l'opponente promuoveva ricorso per Cassazione affidandolo a quattro motivi: con il primo denunciava la violazione degli artt. 1292,1362,1936 e 1937 c.c. per avere il Tribunale erroneamente interpretato il contenuto della scrittura privata, posta alla base dell'insinuazione, dato che era stata omessa ogni indagine in ordine alla natura, onerosa o meno che fosse, dell'obbligazione assunta dalla Alfa srl; con il secondo denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 1363 c.c., in quanto il Tribunale non aveva interpretato congiuntamente le clausole della scrittura privata relative alle obbligazioni assunte dai contraenti, ma si era limitata a fare derivare dall'esegesi della prima (quella assunta da Caio) il significato della seconda (quella assunta dalla Alfa srl); con il terzo denunciava la nullità del decreto impugnato ex art. 132, n. 4) c.p.c. a causa della sua insufficiente motivazione; con il quarto denunciava la violazione degli artt. 782 e 809 c.c., in quanto – quand'anche si fosse voluto qualificare come liberale l'assunzione dell'obbligazione da parte della Alfa srl – la sua natura di donazione indiretta ne avrebbe ammesso il perfezionamento anche per scrittura privata, senza che – dunque – se ne potesse acclarare la nullità per mancanza di forma pubblica ad substantiam.

    La questione

    La vertenza in commento pone essenzialmente due questioni tra loro consequenziali: può l'assunzione di pagare un debito altrui integrare gli estremi della liberalità indiretta? E, a seguire, l'eventuale liberalità che ne scaturisce richiede per la sua validità la forma dell'atto pubblico in applicazione dell'art. 782 c.c.?

    Le soluzioni giuridiche

    Prima di entrare nel merito dei temi sopra proposti, occorre enucleare per sommi capi il concetto di donazione indiretta, salvo un previo caveat terminologico: ancorchè la nozione di donazione indiretta appaia nel codice civile (ed il riferimento è all'art. 737 che ne prevede l'assoggettamento a collazione), a livello di categoria appare più consona quella di liberalità non donativa, in quanto mette in luce che l'effetto liberale si possa “agganciare” ad un diverso veicolo rispetto a quello donativo (già, con riferimento ai lavori preparatori al codice, in questo senso S. Romano, Donazione indiretta e negozio indiretto a confronto, in Riv. dir. priv., 2008, 3, 608); ciò doverosamente chiarito, e non essendo la presente sede eletta per affrontare tale disamina, di qui a venire le due diciture potranno essere promiscuamente utilizzate.

    Tramite l'art. 809 c.c., la cui rubrica attiene alle «norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità», il legislatore prende atto di un'evidenza empirica: quando un soggetto intende arricchire un'altra parte, può farlo non solo attraverso il contratto di donazione, ma anche con un diverso strumento tecnico-giuridico che, di fatto, raggiunge analogo risultato che si sarebbe ottenuto concludendo un contratto di donazione. Senza eccessivo sforzo ermeneutico, va da sé come donare ad un figlio euro 100.000 affinchè questi con la medesima somma compri un'ora dopo un appartamento per un pari prezzo ovvero effettuare un bonifico di euro 100.000 direttamente al venditore dell'appartamento al momento del rogito, presentino un nocciolo identitario comune: in ambo i casi il figlio beneficia di euro 100.000, ma tecnicamente nel primo caso tra padre e figlio si è perfezionato un contratto di donazione, nel secondo no, in quanto l'effetto in questione è stato raggiunto, appunto, in via indiretta. Di casi similari se ne possono proporre non pochi:

    a) il negotium mixtum cum donatione che ricorre quando il venditore, al fine di arricchire l'acquirente, gli vende un bene ad un prezzo volutamente inferiore a quello reale di mercato cosicchè questi beneficerà della differenza non sborsata (Cass., sez. II, 19 marzo 2019, n. 7681; Cass., sez. II, 23 maggio 2016, n. 10614; Cass., sez. II, 3 novembre 2009, n. 23297; Cass., sez. II, 30 gennaio 2007, n. 1955; Cass., sez. II, 7 giugno 2006, n. 13337; Cass., sez. III, 15 maggio 2001, n. 6711; Cass., sez. II, 21 gennaio 2000, n. 642);

    b) il pagamento del debito altrui (in generale) che ricorre quando un terzo estraneo al rapporto obbligatorio estingue, al fine di arricchire l'originario debitore, il di lui debito (Trib. Milano, 31 maggio 2006; Trib. Padova, 3 maggio 2004);

    c) l'intestazione di beni in nome altrui (in particolare) che ricorre quando un soggetto, di solito il genitore, paga al venditore il prezzo della compravendita, ma – per spirito di liberalità verso altro soggetto, di solito il figlio – decide di non rendersi acquirente del bene, bensì di far intervenire al rogito notarile, appunto quale acquirente, il soggetto che intende beneficiare, cioè il figlio (Cass., sez. VI, 10 maggio 2022, n. 14740; Cass., sez. I, 25 ottobre 2021, n. 29980; Cass., sez. III, 4 ottobre 2018, n. 24160; Cass., sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1986; Cass., sez. II, 4 settembre 2015, n. 17604; Cass., sez. I, 10 ottobre 2014, n. 21494; Cass., sez. II, 25 marzo 2013, n. 7480; Cass., sez. VI, 17 ottobre 2012, n. 17805; Cass., sez. II, 25 ottobre 2005, n. 20638; Cass., sez. II, 22 settembre 2000, n. 12563; Cass., sez. II, 22 giugno 1994, n. 5989; Cass., sez. II, 8 febbraio 1994, n. 1257; Cass., sez. I, 23 dicembre 1992, n. 13630; Cass., sez. un., 5 agosto 1992, n. 9282);

    d) il contratto a favore di terzo (in generale) che ricorre quando lo stipulante, animato da spirito di liberalità verso il terzo, conclude un contratto secondo lo schema di cui all'art. 1411 c.c. ed il terzo acquista il diritto per effetto della stipulazione altrui senza essere tenuto ad effettuare prestazioni di sorta (Cass., sez. I, 29 luglio 1968 n. 2727);

    e) la costituzione di rendita vitalizia a favore di un terzo ex art. 1875 c.c., quale applicazione del contratto a favore di terzo (Cass., sez. II, 12 agosto 1996, n. 7492);

    f) l'assicurazione sulla vita a favore del terzo nella quale l'assicurato – versando i premi ed indicando il beneficiario – può realizzare a favore di quest'ultimo un arricchimento ai fini liberali (Cass., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3263);

    g) il negozio rinunziativo (in genere) che ricorre quando il soggetto dismette unilateralmente un proprio diritto al fine di beneficiare un altro soggetto (Cass., sez. II, 3 marzo 1967, n. 507; Cass., sez. II, 25 febbraio 2015, n. 3819, per la rinuncia alla comproprietà; Cass., sez. II, 10 gennaio 2013, n. 482, per la rinuncia ai diritti parziari);

    h) il mandato ad amministrare dato ad un soggetto con l'obbligo di versare le rendite o altre somme in denaro ad altro soggetto al fine di arricchire quest'ultimo (Cass., sez. II, 6 giugno 1969, n. 1987);

    i) la delegazione di pagamento in assenza di rapporto di provvista e/o di valuta al fine di arricchire il delegatario (Cass., sez. I, 29 maggio 2003, n. 8590; Trib. Bologna 6 giugno 2006);

    j) l'atto di dotazione di beni in trust (Cass., sez. un., 12 luglio 2019, n. 18831; Cass., sez. V, 26 ottobre 2016, n. 21614);

    k) la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito (Cass., sez. II, 4 maggio 2012, n. 6784; Cass., sez. II. 12 novembre 2008, n. 26983; Cass., sez. I, 22 settembre 2000, n. 12552; Cass., sez. II, 10 aprile 1999, n. 3499);

    l) la cointestazione di buoni postali del padre a favore dei figli (Cass., sez. II, 9 maggio 2013, n. 10991);

    m) l'accollo interno con cui l'accollante, allo scopo di arricchire la figlia con proprio impoverimento, si sia impegnato nei confronti di quest'ultima a pagare all'istituto di credito le rate del mutuo bancario dalla medesima contratto (Cass., sez. II, 30 marzo 2006, n. 7507).

    Ecco che allora il primo problema è qualificatorio, in quanto – non essendosi in presenza di un contratto di donazione – occorre che l'assetto liberale sotteso debba emergere aliunde e certamente opportuna sarebbe l'invocazione dell'expressio causae al fine di connotare l'assetto causale. Paradigmatico è il frequente contenzioso che si instaura in sede di separazione di coniugale o, più in generale, di rottura dell'unione affettiva circa la ripetibilità di spese effettuate da uno solo dei due per far fronte ad asserite esigenze familiari comuni: ad esempio Cass., sez. III, 21 Febbraio 2023, n. 5385, relativo al caso del mutuo cointestato ma onorato dal solo marito, per il quale è stata esclusa la restituzione non avendo questi provato la «diversa causa» rispetto a quella di far fronte al comune progetto di vita; dall'esito opposto, invece, Cass., sez. II, 14 luglio 2021, n. 20062, che in caso di acquisto di un immobile effettuato da due conviventi per quote uguali, ma con provvista fornita in percentuale diseguale, ha ammesso la restituzione dell'eccedenza a favore del convivente che aveva pagato più del 50% non avendo l'altro fornito prova dell'intento liberale. Certamente, nella ricostruzione dell'assetto causale, non valgono i limiti alla prova testimoniale sanciti dall'art. 1417 per la simulazione (Cass., sez. II, 30 ottobre 2020, n. 24040; Cass., sez. II, 18 luglio 2019, n. 19400; Cass., sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1986; Cass., sez. II, 27 febbraio 2004, n. 4015; Cass., sez. II, 15 gennaio 2003, n. 502). Per il resto dovrà procedersi all'analisi di tutte le circostanze del caso atte a poter qualificare la natura dell'operazione (Cass., sez. II, 21 maggio 2020, n. 9379; Cass., sez. I, 5 agosto 2019, n. 20888; Cass., sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4682); del resto, che la causa del negozio debba essere acclarata in concreto, cioè in base allo specifico assetto di interessi plasmato dai contraenti, e non astrattamente sull'impianto estrinseco della pattuizione, è principio ormai sempre più trasversale nel panorama giurisprudenziale (solo per citare un recente arresto: Cass., sez. lavoro, 17 maggio 2024, n. 13799, per cui «in tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale deve essere riguardato alla stregua degli ulteriori criteri ermeneutici quali l'interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e l'interpretazione secondo buona fede ex art. 1366 c.c., avuto riguardo allo "scopo pratico" perseguito dalle parti con la stipulazione del contatto, e quindi della relativa "causa concreta"»). Per quanto detto, allora, l'accollo può astrattamente essere ricondotto nel novero delle liberalità non donative, ma a condizione che concretamente sia strutturato per il perseguimento di una finalità causale di matrice liberale.

    E', invece, totalmente fuori discussione che alla liberalità non donativa si debba applicare il rigore formale di cui all'art. 782 c.c. (Cass., sez. II, 25 ottobre 2018, n. 27050; Cass., sez. un., 27 luglio 2017, n. 18725; Cass., sez. I, 5 giugno 2013, n. 14197; Cass., sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333; Cass., sez. II, 29 marzo 2001, n. 4623; Cass., sez. II, 10 febbraio 1997, n. 1214; Cass., sez. II, 16 ottobre 1976, n. 3526). Il motivo, quasi banale a dirsi, è che la liberalità non donativa non è per definizione una donazione e, quindi, non può essere soggetta al vincolo di forma che – secondo il dettame ricavabile dall'art. 1325, n. 4) c.c. – è eccezione alla regola della libertà delle forme.

    Osservazioni

    La pronuncia in commento, pur riaffermando principi consolidati in materia, coglie un punto cruciale prodromico ad ogni altra valutazione: il decreto impugnato, partendo dall'assiomatico postulato per cui l'obbligazione assunta dalla società (poi) fallita fosse di natura liberale, ne acclarava – in un perverso sillogismo – la nullità per la mancanza della forma pubblica ad substantiam. Ma il nodo gordiano che soffoca il caso è la totale carenza di attività ermeneutica da parte del Giudice di merito finalizzata ad individuare causalmente – lo si ripete ancora, concretamente – l'operazione oggetto di contenzioso. Peraltro, l'omessa indagine interpretativa si rendeva quanto mai doverosa anche in considerazione della delicata questione, nonostante l'apertura giurisprudenziale (Cass., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18449), della capacità delle società di porre in essere atti liberali, tema che è – invece – del tutto estraneo alla scena giudiziale. In sostanza era inutile disquisire sulla questione formale se quella sostanziale, di fatto, nemmeno era stata affrontata.

    Per quanto esposto, la Corte di Cassazione – accogliendo il solo quarto motivo di ricorso (reputato assorbente rispetto a gli altri tre) – ha cassato il decreto impugnato e rinviato al Tribunale di Verbania per un nuovo esame.

    Guida all'approfondimento

    V. Barba, Tecniche negoziali di intestazione di beni sotto nome altrui e problemi successori, in Fam. pers. succ., 2012, 5, pp. 344-361

    A.A. Carrabba, Manuale di diritto delle donazioni, Napoli, 2021