Apertura della successione

    La successione si apre al momento della morte, nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto (art. 456 c.c.).

    L'apertura della successione individua il tempo e il luogo dell'inizio del fenomeno successorio a causa di morte. Il tempo è quello in cui si verifica l'evento morte mentre il luogo è quello dell'ultimo domicilio (e non invece dell'ultima residenza, così Cass. n. 2845/1962) del de cuius .

    Ai fini dell'apertura della successione, quindi, non è rilevante il luogo in cui sia avvenuta la morte di una persona, o in cui la stessa abbia eventualmente redatto il testamento, poiché è nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto che essa avviene.

    Non così, invece, per le successioni che si sono aperte all'estero dal 17 agosto 2015, per le quali l'art. 21 del Regolamento UE del 4 luglio 2012, n. 650 fa riferimento – per l'individuazione della lex successionis – alla residenza abituale del de cuius al tempo della morte.

    La questione se il concetto di “morte” ricomprenda o meno anche la morte presunta, è stata risolta positivamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ritenendo così che essa determini l'apertura della successione, esattamente come la morte naturale (Cass. n. 536/1981). In tale ipotesi il tempo dell'apertura della successione è quello individuato, all'esito del procedimento, dalla sentenza e non invece dal suo passaggio in giudicato.

    L'individuazione del tempo della morte di un individuo risulta certamente difficoltoso nell'ipotesi di commorienza, che ricorre quando nello stesso istante muoiono più persone ed è necessario stabilire il tempo del decesso al fine della riconduzione di determinati effetti giuridici ad una di queste. L'art. 4 c.c., stabilendo che in tale circostanza si deve presumere che tutte le persone siano decedute nello stesso istante, addossa l'onere probatorio a chi intende avvalersi degli effetti giuridici derivanti dalla sopravvivenza di una persona ad un'altra (Cass. n. 963/1986).

    All'apertura della successione, oltre alla chiamata ereditaria – il più importante degli effetti che vi si riconnettono – si ricollegano una serie di conseguenze rilevanti, in particolare ai seguenti fini: tempo dell'acquisto dell'eredità (art. 459 c.c.), capacità di succedere (art. 462 c.c.), prescrizione del diritto di accettare (art. 480 c.c.), competenza territoriale dell'autorità giudiziaria o del notaio in alcune vicende successorie (artt. 484,485,498,508,517,519,528,620,730 c.c.; art. 22 c.p.c.), termine per esercitare il diritto di separazione (art. 516 c.c.), validità del legato di cosa del legatario (art. 656 c.c.), collazione per imputazione (art. 747 c.c.), continuazione del possesso nell'erede (art. 1146 c.c.), effetti della trascrizione dell'azione di riduzione (art. 2652 e 2690 c.c.).

    Tra gli effetti ricollegabili all'apertura della successione vi è anche quello relativo alla decorrenza del termine di prescrizione per esercitare l'azione di riduzione.

    Le Sezioni Unite della Cassazione, risolvendo un contrasto tra le proprie sezioni, hanno stabilito (Cass., Sez. Un., n. 20644/2004) che quando oggetto della riduzione siano solo disposizioni testamentarie lesive, il termine decorra dall'accettazione dell'eredità, che individua definitivamente quando il “diritto può essere fatto valere” ex art. 2935 c.c.

    Fino a tale pronuncia, un primo orientamento (Cass. n. 4230/1987; Cass. n. 11809/1997; Cass. n. 5731/1988; Cass. n. 6493/1986) riteneva che quel termine decorresse dalla data di apertura della successione, mentre secondo una diversa impostazione la decorrenza iniziasse dalla data di pubblicazione del testamento (Cass. n. 5920/1999; Cass. n. 99/1970).

    In base alla prima opinione, l'inizio del termine prescrizionale dall'apertura del- la successione si giustificherebbe dal momento che la mancata conoscenza del testamento da parte del legittimario preterito/leso (o il suo mancato possesso della scheda olografa) sono impedimenti di fatto e non diritto, che non ostano al decorso della prescrizione ai sensi dell'art. 2935. In altri termini, il concreto accertamento della lesione di legittima è soltanto uno dei momenti dell'azione di riduzione, necessario per stabilire i termini quantitativi della lesione stessa.

    In base all'altro orientamento, invece, dalle norme sulla pubblicazione del testamento olografo (art. 620 c.c.) e del testamento pubblico (art. 623 c.c.), emergerebbe che soltanto dall'avvenuta conoscenza (e successiva comunicazione del documento agli interessati), può discendere una presunzione iuris tantum di conoscenza delle disposizioni in esso contenute. Si è quindi ritenuto che nonostante il testamento sia eseguibile subito (e cioè fin dall'apertura della successione) è solo dalla data di pubblicazione del testamento che i legittimari possono far valere il loro diritto e chiedere la riduzione delle disposizioni lesive della propria quota di riserva, atteso che solo da tale data, salvo prova contraria, sono in condizione di far valere il loro diritto, essendo soltanto da tale momento a conoscenza della lesione.

    Le Sezioni Unite, invece, hanno ritenuto che il legittimario, fino a quando il chiamato in base a testamento non abbia accettato l'eredità, non sarebbe legittimato (per carenza di interesse) ad agire in riduzione, non essendosi verificate «le condizioni di diritto perché possa iniziare a decorrere il termine per l'esperimento» dell'azione. L'accettazione ereditaria pertanto, rendendo attuale la lesione di legittima fino a quel momento solo potenziale, segnerebbe il momento «in cui il diritto può essere fatto valere». Inoltre, il legittimario leso o pretermesso, di fronte all'inerzia del chiamato, avrebbe a sua disposizione la possibilità di ricorrere all'actio interrogatoria (art. 481 c.c.) per stimolare l'accettazione o la rinuncia all'eredità.

    Come detto i giudici hanno circoscritto alle sole disposizioni testamentarie la portata della decisione, chiarendo che nella diversa ipotesi in cui la lesione di legittima sia derivata da una donazione, è al momento dell'apertura della successione che occorre fare riferimento. In questo caso, infatti, sussiste fin dall'apertura della successione la certezza dell'incapienza del relictum a garantire al legittimario il soddisfacimento della quota di riserva. La correttezza della soluzione con riferimento alle donazioni, in ogni caso, sembra ricavabile dagli articoli 747 ss. c.c.

    La pronuncia sembra individuare una soluzione definitiva e apparentemente convincente, sotto il profilo della certezza del diritto, ancorando ad un fatto giuridicamente rilevante (l'accettazione dell'eredità) la detta decorrenza.

    Tale indirizzo interpretativo consente di pervenire ad una soluzione netta anche rispetto all'ipotesi in cui la lesione dei diritti del legittimario avvenga non con una disposizione a titolo universale ma particolare, e cioè con un legato. Tale ipotesi infatti, pur ricadendo nella generale affermazione della Cassazione («disposizioni testamentarie lesive della legittima») deve senz'altro essere accomunato alla fattispecie della donazione quanto alla decorrenza del termine per esercitare l'azione di riduzione (soprattutto quando il testatore abbia disposto del suo patrimonio ereditario esclusivamente con legati).

    Dal momento infatti che il legato si acquista senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunziare (art. 649 c.c.), è al momento dell'apertura della successione (o, per chi lo ammetta, dalla pubblicazione del testamento) che occorrerà guardare per stabilire la decorrenza del termine in esame.

    Le certezze che sembrano ricavarsi dalla pronuncia a Sezioni Unite iniziano a vacillare, invece, se si pone l'accento sui diversi modi con cui si può acquistare l'eredità, o se si guarda alle ipotesi di acquisto a titolo particolare o, ancora, se si analizzano le conseguenze dell'esercizio dell'actio interrogatoria .

    Se nessun dubbio pone – ovviamente – l'accettazione espressa dell'eredità (art. 475 c.c.), maggiori difficoltà interpretative presenta invece l'ipotesi dell'accettazione tacita, in cui il chiamato compie un atto che importa accettazione che presuppone «necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede» (art. 476 c.c.). Potrebbe essere difficoltoso, infatti, interpretare se un determinato atto o comportamento possa valere come atto «di accettazione», quando lo stesso non si traduca in un negozio dispositivo (e la copiosa casistica sull'art. 476 c.c. lo dimostra). Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui il chiamato esegua il pagamento di un debito con denaro prelevato dall'asse o ad una proposta di contratto relativa a beni ereditari anche se revocata prima dell'altrui accettazione, casi questi che la giurisprudenza ha ritenuto integrare fattispecie di accettazione tacita.

    Si consideri inoltre l'ipotesi della disposizione testamentaria condizionata (artt. 633 ss. c.c.) in cui – a prescindere dalla complessa ricostruzione dogmatica dell'istituto – gli effetti del verificarsi (o non verificarsi) dell'evento condizionale retroagiscono al momento dell'apertura della successione, benché l'accettazione ereditaria sia avvenuta prima di quell'evento.

    Se con riferimento alle ipotesi di accettazione tacita il principio della sentenza Cass. n. 20644/2004 necessita di un adattamento interpretativo, lo stesso non è invece certamente applicabile con riferimento alle fattispecie legali tipiche di acquisto senza accettazione: del chiamato possessore che non ha completato le procedure ex art. 485 c.c., del chiamato che ha sottratto o nascosto beni dell'eredità (art. 527 c.c.) e dello Stato (art. 586 c.c.). In tali casi infatti l'acquisto opera retroattivamente dall'apertura della successione.

    Quanto infine alla “variabile” in cui il legittimario pretermesso abbia esperito l' actio interrogatoria (art. 481 c.c.) si individuano due profili certamente suscettibili di maggiore approfondimento.

    Il primo concerne la eventualità che il chiamato “compulsato” non accetti in modo espresso (ciò sembrerebbe potersi ricavare dalla “dichiarazione” che lo stesso deve rendere) ma tacito, come sostenuto da autorevole dottrina: tornerebbe allora a prospettarsi nuovamente l'ipotesi sopra ricordata in cui l'eredità si acquista con l'accettazione tacita.

    L'altro invece si riferisce all'ipotesi che lo stesso soggetto abbia dichiarato di rinunziare all'eredità. Con tutti i dubbi e le riserve del caso, infatti, andrebbero analizzate le conseguenze connesse a tale eventualità, e cioè se si apra la successione legittima ovvero, se permanga la delazione ereditaria nei confronti dei soggetti a favore dei quali opera la sostituzione, rappresentazione o accrescimento (e se così fosse assisteremmo ad una “gemmazione” di delazioni che dovrebbero essere accettate) ovvero permanga a favore dello stesso soggetto primo chiamato che, re melius perpensa , abbia in seguito deciso di accettare l'eredità – revocando la rinunzia (art. 525 c.c.) – sempre che nessun altro l'abbia acquistata.

    Mauro Leo